Vai al contenuto
Home » IL RICCIO DELLA LUNA

IL RICCIO DELLA LUNA

C’era una volta, nel regno di Speziala, un riccio di nome Albino, figlio del re Ecciù e della regina Spina. La nascita di Albino fu attesa per molti e molti anni, tanto che il re era preoccupato di non lasciare un erede maschio al popolo di Speziala. Albino nacque in una notte di luna piena la cui luce splendente illuminava lo stancante anda e rianda del re davanti alla stanza della sua regina.

Albino non ne voleva proprio sapere di vedere la luce, si trovava bene dentro il guscio caldo e protettivo della sua mamma, tuttavia  il tempo era contro di lui e per forza quello stesso giorno sarebbe dovuto nascere. ‹‹È maschio!›› gridò Ago, il vecchio saggio del Regno convocato dal re per assistere al parto.

Ago era il riccio più anziano di Speziala e si occupava di tutto e di tutti: curava i ricci con medicine naturali che lui stesso preparava, e metteva tutti quanti d’accordo quando nel regno nascevano cattiverie e litigi. Il vecchio Ago aveva camminato per ogni sentiero del regno, e nessuno gli era sconosciuto. Era il riccio fidato del re, il suo consigliere: a lui si affidava per ogni dubbio, sia che riguardasse il suo popolo sia la sua vita di uomo e padre. E il vecchio non sbagliava mai.

Nel regno girava la voce che Ago fosse un mago perché inspiegabilmente era capace di risolvere qualsiasi problema; quando queste voci arrivavano alle sue orecchie, ne rideva: ‹‹ma quale magia?! Il mio segreto è credere in ciò che faccio e impegnarmi per ottenere il risultato desiderato… è necessario saper ascoltare e, quando impossibile, leggere negli occhi di chi mi chiede aiuto… si può nascere con questo dono ma lo si può anche imparare se si possiedono voglia e pazienza››.

Quando il re sentì le grida di gioia si prepicipitò nella camera per vedere il neonato. Spalancò gli occhi e la bocca: ‹‹e que-sto… co-sa…? Ago, com… com’è pos-si-bi-le?›› balbettò.

‹‹Cosa succede, qualcosa non va? Ago, perché mio figlio non sta piangendo?›› domandò la regina preoccupata.

‹‹Forse perché non ha voglia, mia regina… le assicuro che il suo piccolo riccio è sano; non appena lo avranno pulito, le sarà consegnato››.

‹‹Ecciù, perché non sei contento?›› domandò la regina al re.

Il re Ecciù non aveva il coraggio di guardarla negli occhi per dirle che loro figlio non era proprio ciò che si aspettavano. Ancora non credeva ai suoi occhi, piccoli ma perfettamente funzionanti; li stropicciò insistentemente ma tutte le volte gli appariva la solita immagine: un piccolo riccio, bianco con gli occhi rossi.

Ago lo guardò perplesso. Non riusciva a comprendere la reazione del suo re. ‹‹Ma Ecciù…››.
‹‹Salute›› rispose il re.
Ago aggrottò le sopracciglia: ‹‹mio re, non ho starnutito… insomma, non so come possa essere accaduto, le mie umili conoscenze non mi permettono di darle una giusta spiegazione, però le basterà sapere che l’erede che tanto desiderava è sano›› aggiunse sorridendo.

‹‹Erede?›› sobbalzò il re con voce grossa. ‹‹Ago, come può pensare che presenterò questo riccio al mio popolo! No, non lo farò mai! Prenderanno in giro me, per aver messo al mondo un riccio diverso, e rideranno di lui… mio Dio, le brutte chiacchiere del mio popolo ronzano già nella mie orecchie››. Si tappò le orecchie con le zampe, scotendo la testa.

‹‹Ma Ecciù…›› ripetè Ago.
‹‹Salute!›› rispose il re.
‹‹Ahhh… ancora con questa storia dello starnuto›› brontolò la regina.
‹‹Grazie…›› aggiunse Ago, sollevando gli occhi al cielo. ‹‹Mio re, allora cosa vuole fare? Non vorrà sbarazzarsi di suo figlio?›› chiese perplesso. Attendendo la risposta del re, l’accecò con un’occhiata di disapprovazione.

Il re si voltò. Abbassò lo sguardo come se si vergognasse di ciò che stava per dire. ‹‹Diremo che è stato rapito. Lo terremo chiuso nella torre del castello e potrà ricevere le sole visite dei qui presenti e del maestro che lo istruirà››.

Sia la regina che Ago si opposero al volere del re Ecciù, ma nessuna delle loro parole gli fece cambiare idea.

Albino crebbe isolato nella torre del castello. Come avrebbe fatto qualsiasi cucciolo curioso, tentò più volte di uscire dalla torre ma, immancabilmente, appena aperta la porta le guardie lo rispingevano dentro.

Ago si recava dal piccolo riccio tutti i giorni, gli leggeva racconti e lo istruiva sulla storia del regno, però Albino sembrava non ascoltarlo. Era assente, lo sguardo perso nel vuoto e non parlava. La regina Spina, disperata, convocò persino i medici degli altri regni, ma nessuno riuscì a guarire Albino.

Un giorno, Ago decise di disobbedire all’ordine del re, ma solo per il bene di Albino poichè per il piccolo riccio era venuto il tempo di vedere il mondo e finalmente toccarlo. Per non essere scoperto, prima preparò la “pozione del sonno” con le erbe aromatiche che raccoglieva nel giardino del cugino Alessandruss. L’avrebbe usate per addormentare la guardia presente all’entrata della torre, al suo risveglio non avrebbe ricordato l’accaduto.

Quando il re si ritirò nella sua stanza per il riposino quotidiano, Ago si recò alla torre con la pozione e la spruzzò sulla guardia. Entrò nella cella. Coprì Albino con un mantello e uscirono. Grazie all’efficacia della sua pozione, tutti i giorni guidò il piccolo riccio per i sentieri del regno. All’inizio Albino non fu contento di quelle uscite, sentendosi diverso dai ricci che vedeva a giro si vergognava, poi, magicamente, qualcosa cambiò.

Con il passare dei giorni imparò a conoscere la natura, respirandone gli odori e ammirandone i colori, e a vivere il rischio aggirando gli ostacoli. I suoi occhi curiosi non si stancavano. Seguiva fedele ogni passo del suo maestro imitandone i movimenti, però la sua voce non usciva. Fu così che Ago pensò di accompagnarlo all’Oasi Bolle di sapone.

L’Oasi Bolle di sapone era un enorme giardino costruito dal maestro Alessandruss dopo la nascita del figlio Giò: lì, i cuccioli del regno sani e malati, ricchi e poveri, tristi e felici, guidatati dal maestro potevano imparare i segreti della sopravvivenza. Ago era certo che la scuola di Alessandruss avrebbe regalato ad Albino gioie, sorrisi e, soprattutto, restituito la voce.

‹‹Ascoltami bene Albino›› esclamò Ago con tono severo, ‹‹mi devi promettere che non racconterai a nessuno che sei il figlio del re››. Dopo un attimo di riflessione, riprendendo il cammino verso l’Oasi, borbottò: ‹‹che sciocco che sono… dimenticavo che non puoi parlare… allora posso stare tranquillo, non esiste nessun pericolo! Dirò che sei il figlio di un mio parente, hai capito?››. Albino sorrise e per la prima volta accennò un sì con la testa. ‹‹Cucciolo, stai facendo passi avanti!›› esclamò soddisfatto Ago.

Quando le porte dell’Oasi si aprirono, Albino spalancò gli occhi e sorrise: sulla sua testa si muovevano tante bolle di sapone, e cuccioli di riccio si rincorrevano e gioivano.

‹‹Su, entra figliuolo… non abbiamo molto tempo››. Ago gli diede una piccola spinta.

I presenti si fermarono a osservare Albino, quel piccolo riccio fuori dal comune. Nessuno rideva di lui, semplicemente erano stupiti. Alessandruss spezzò l’imbarazzo precipitandosi ad accogliere il nuovo arrivato. ‹‹Buongiorno Albino, sono molto felice che ti sia unito a noi… Su, piccoli ricci, dategli il ben venuto››.

‹‹Ben venuto Albino›› esclamarono in coro. Il figlio di Alessandruss, zoppicante, gli si avvicinò. ‹‹Ciao, mi chiamo Giò. Seguimi, ti faccio vedere questo posto… però dovrai avere pazienza con me… sai, io sono nato con una zampa più corta e per questo motivo cammino lentamente››.

Con la curiosità dei suoi occhi, Albino lo seguì. Così fece ogni giorno per tanti giorni. Albino e Giò diventarono amici ma ancora Albino continuava ad essere muto.

Un giorno, Giò mostrò ad Albino il “cammino sensoriale”. Ancora nessuno lo aveva attraversato; dopo di lui, Albino sarebbe stato il primo. Muovendosi su un percorso fatto di pietre, sabbia, acqua e piante aromatiche, avrebbero attraversato l’oasi in lungo e largo. Tutte le volte che Albino vedeva l’acqua si fermava e non riusciva a terminarlo.

‹‹Vieni Albino! Non avere paura, l’acqua è bassa… non puoi annegare!›› esclamò Giò, sorridendo nel vedere l’amico impaurito. Albino tentennò la testa. ‹‹Cammina sulle pietre e non ti accadrà niente… se paura tu adesso hai, chiudi gli occhi e sognerai, e nell’azzurro ciel un sole giallo vedrai, fiori colorati e profumati calpesterai e paura più non avrai›› canticchiò Giò. ‹‹Dai vieni, è bellissimo camminare sulla sabbia! Guarda, le zampe affondano! Ahahah, che bella sensazione!››.

Albino mosse un primo passo e si fermò all’istante, avvertendo uno schizzo d’acqua mosso dal vento.

‹‹Albino chiudi gli occhi… non pensare all’acqua e… bravo, così!››.

Purtroppo Albino non proseguì. La paura lo fece tornare indietro. Ma Giò non si arrese:  tentò lo stesso gioco ogni giorno, per un mese. Desiderava che l’amico superasse una paura inesistente. ‹‹Andiamo Albino, parto prima io e tu mi segui. Giò attraversò il sentiero cantando la sua filastrocca, ma Albino non lo stava seguendo. ‹‹Dai, provaci!››. Albino chiuse gli occhi, fece un sospirone e partì.
‹‹Bravo Albino!›› gridò Giò.
Albino aprì gli occhi e si fermò quando arrivò all’acqua. ‹‹Non ti fermare, chiudi gli occhi e riparti!›› incitò Giò.

Albino chiuse gli occhi e iniziò a cantare la filastrocca. ‹‹Se paura tu adesso hai, chiudi gli occhi e sognerai, e nell’azzurro ciel un sole giallo vedrai, fiori colorati e profumati calpesterai e paura più non avrai…››.

Giò guardò l’amico a bocca aperta. ‹‹Hai parlato…?››. Non credeva alle sue orecchie. ‹‹Albino hai parlato!››. Corse ad abbracciarlo.

Albino, incredulo, spalancò gli occhi. Era miracolosamente riuscito ad attraversare l’acqua. ‹‹Evviva!›› gridò, saltando per la gioia.

‹‹Albino, tu parli!››

‹‹Certo che so parlare! Parlo quando sono solo… ma dimmi Giò, come si chiama questo sentiero?››continuò Albino, posando il suo naso umido su una foglia di salvia.

‹‹Mio padre lo ha chiamato il cammino di Giò… Giò come me››.
‹‹E perché lo ha chiamato come te?››.
‹‹L’ha costruito affinché io camminassi davanti agli altri senza pensare alla mia andatura zoppa. Tutti camminando sulle pietre, sulla sabbia oppure con le zampe nell’acqua hanno un’andatura buffa… non pare anche a te?››. Albino sorrise, ammirando la volontà e il coraggio dell’amico. ‹‹Mi vergognavo e non volevo assolutamente camminare davanti a persone che non conoscevo… poi, qui, giocando insieme agli altri ricci, ho capito che non devo vergognarmi della mia zampa corta… questa mi rende diverso da voi solamente nell’aspetto, allo stesso modo del colore del tuo pelo, Albino. Parliamo, vediamo, sentiamo, ridiamo, ci arrabbiamo e piangiamo allo stesso modo. Per fortuna che ognuno di noi possiede un difetto che lo rende diverso dagli altri, altrimenti saremmo dei ricci identici… sai che noia?››

I due tornarono indietro, si stava facendo tardi, Albino e Ago sarebbero dovuti tornare al castello prima del risveglio della guardia.

In pochi giorni, nel regno di Speziala si diffuse la notizia di un riccio bianco che aveva ritrovato la voce. Albino divenne famoso, piaceva al popolo e tutti lo cercavano, ma nessuno sapeva chi fosse e dove abitasse. Queste voci raggiunsero anche le orecchie del re Ecciù.

Al re sembrò impossibile che il suo amico Ago avesse disobbedito al suo ordine, però, il dubbio lo divorava. E fu così che durante l’ora del riposino del giorno, mentre insistentemente si rotolava nel letto, decise di seguire Ago. Si travestì con un mantello, uscì dal castello e seguì i due sino all’Oasi Bolle di sapone.

Andò su tutte le furie. ‹‹Per tutti i ricci del mondo! Il mio amico fidato Ago mi ha disobbedito!›› borbottò. ‹‹Merita di essere punito… ordinerò alle guardie di farlo rinchiudere nella torre per un anno intero!›› aggiunse.

Prima di tornare al castello, nascosto tra i cespugli, spiò Albino. Il piccolo principe, allegro come mai il re lo aveva visto, stava giocando con gli amici sul “cammino sensoriale” . Albino rideva, gioiva e si prendeva cura dei ricci più piccoli, seguendoli passo dopo passo lungo il percorso. Il duro cuore del re Ecciù si riempì di amore, ammirando la bontà e la dolcezza del figlio, tanto che dimenticò l’inganno.

Piano piano, mentre Albino stava annusando un rametto di ramerino, gli si avvicinò e gli carezzò il bianco pelo. Il principino si voltò e, terrorizzato, esclamò: ‹‹papà!››

Udendo la sua voce, piccola ma vivace, gli occhi del re si riempirono di lacrime per la gioia. ‹‹Tranquillo, va tutto bene›› disse stringendolo in un abbraccio tanto forte da schiacciargli il muso contro il suo petto.

Insieme tornarono al castello e durante il cammino Albino gli raccontò tutto quello che aveva imparato all’Oasi Bolle di sapone; lo implorò di non punire il caro Ago, ed Ecciù, oltre a esaudire la sua richiesta, donò una medaglia d’oro al vecchio saggio per il suo coraggio.

Il giorno seguente, il re e la regina organizzarono una festa al castello. Felici, annunciarono il ritrovamento del figlio e presentarono Albino all’intero regno di Speziala.

E fu così che vissero tutti felici e contenti.