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FAME D’AMORE

STORIA DI IMMA VENTURO, UNA DONNA CHE HA SOFFERTO DI BULIMIA

Diagnosi: bulimia. Da quel momento sono trascorsi 25 anni, ma adesso, dopo un lungo percorso di crescita personale, posso decisamente affermare di essere nata bulimica.
Non c’è niente da fare, questa dannata malattia trova quasi sempre le radici nel contesto familiare. Sono stata una figlia amata, ma attenzione, ciò non significa necessariamente che entrambi i miei genitori mi avessero desiderata. Sono stata concepita per il mero desiderio di papà, che incontrò mia madre in un momento difficile della vita di lei. Innamoratasi follemente del suo salvatore decise di accondiscendere alla sua richiesta, pur non conoscendo il significato della maternità. Accontentare lui era molto più importante che rispettare se stessa, non poteva rischiare di perderlo. Mia madre non mi ha accudita durante la gravidanza – mangiava male, fumava, lavorava molto – e forse si è ricordata del suo stato solo quando si è fatto sentire il primo dolore fisico che le annunciava la mia venuta al mondo. Probabilmente, vi starete chiedendo cos’è accaduto quando mi ha vista per la prima volta, come si è sentita, ma a questa domanda non so darvi una risposta. Io posso solo raccontarvi che non è stata madre quando mi ha sentita dentro di sé né è riuscita a diventarlo in seguito. Non escludo che ci abbia provato, in tal caso ogni suo tentativo si traduceva in un fallimento. Neonata, piangevo quasi sempre e lei tentava di soffocare il mio pianto con il cibo.
Ho conosciuto le sofferenze che l’hanno marchiata in età adulta, durante la mia guarigione, una scoperta che mi ha permesso di dedurre che il suo modo di amarmi, manifestato con il solo “sapere fare”, era farmi mangiare. Al contrario, papà e la sua famiglia mi trattavano come una principessa in maniera proporzionale alla mia crescita che è sempre stata ai limiti del sovrappeso. Più il peso cresceva, più aumentava la preoccupazione di papà tanto che s’impose per consultare la pediatra. Il problema non era medico, mangiavo troppo rispetto ai miei fabbisogni reali. Le parole della pediatra volarono fuori dalla finestra il giorno stesso che papà le riferì alla mamma: non riusciva a rispettare la richiesta di “farmi dimagrire” .

Il cibo ha continuato a essere il padrone delle mie emozioni e mi ha inseguita per tutta la vita: ero incapace di esprimere i sentimenti e mangiavo, non riuscivo a dire no e mangiavo.
Crescendo, ho imparato a gestire il peso attraverso il vomito, con naturalezza, e così non sono più stata obesa, e nemmeno magrissima, ma questa immagine non è mai stata il mio obiettivo. Con l’età si è aggravata la malattia fino a tentare il suicidio. Seguivo le terapie varie ma niente faceva scattare in me la molla della guarigione e continuavo a combinare solo guai.
Nel frattempo mi sono sposata e ho vissuto il mio desiderio fanciullesco, un matrimonio da favola. Ma come in ogni favola che si rispetti esiste sempre la presenza di una strega cattiva, nel mio caso la bulimia.
Mio marito mi chiese un figlio, una richiesta che risvegliò la malattia dal suo assopimento. Peggiorai in maniera significativa, mi abbuffavo arrivando a vomitare persino sette volte al giorno. Fui ricoverata e in quel periodo, felice perché lontana da mio marito, compresi che il mio malessere era scaturito dal rifiuto della maternità: dentro di me esisteva ancora la bambina bisognosa di amore e prima di essere madre di altri avrei dovuto esserlo di me stessa. Pensai così di potere finalmente guarire, poiché davvero lo desideravo, eppure continuavo a mentire a me e ai medici, e non me ne accorgevo. Io non ero io e non stavo bene né con me stessa né con nessun altro. Quando uscii dall’ospedale con il proposito di liberarmi del mio passato – compreso il mio matrimonio – nella debolezza, ancora predominante, mio marito mi convinse a riprovare e mi mise incinta. Non fu una mia scelta.
I giorni passavano, e dopo varie peripezie e dopo tante sedute di psicoterapia fallite, riuscii a uscire da quella relazione per me malsana. Non so ancora dove trovai il coraggio per portare a termine la mia decisione.
La libertà durò ben poco, caddi nella rete dell’uomo sbagliato. Ciò nonostante, fu proprio grazie a lui che in me scattò il bisogno di farmi aiutare. Da sola e motivata, dopo varie ricerche, trovai il modo: abbandonai la psicoterapia – non ero mai riuscita a trovare il terapeuta giusto per me – e intrapresi il percorso introspettivo che mi ha salvato la vita.
Dopo avere celebrato il funerale della bulimia che mi ha accompagnata per 25 anni, ho assaporato la vita e posso finalmente affermare di essere una donna, una madre e una compagna di vita felice.